Sull’ultimo numero del weekend magazine del Financial Times, giornale economico-finanziario del Regno Unito tra i più autorevoli e più letti del mondo, la prima pagina è stata dedicata all’agricoltura italiana. Purtroppo non per esaltarne i pregi, ma per parlarne male.
Con l’esplicativo titolo di “How the mafia got to our food”, l’articolo racconta di come la criminalità organizzata del nostro Paese abbia messo le mani sul settore agroalimentare, che è diventato per loro un’importantissima fonte di reddito. Riportando quanto sostenuto dall’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, l’articolo afferma come l’incursione della mafia si sia ormai estesa all’intera catena alimentare (dalla produzione al packaging, dal trasporto alla distribuzione). Il valore economico dell’agromafia è aumentato da 12.5 miliardi di euro del 2011 a 22 del 2018 (circa il 10% annuo), corrispondendo ora a circa il 15% dell’intero presunto giro d’affari (stimato dalla commissione parlamentare anti-mafia nel 2017 in 150 miliardi).
L’articolo aggiunge che uno degli snodi critici sono i Mercati, specie quelli all’ingrosso. Nel mese di agosto, ad esempio, la polizia ha effettuato dei controlli nel Mercato di Palermo, scoprendo “una sala di regia segreta” che fissa il prezzo delle merci, dei trasporti, dei facchini, dei parcheggi e del materiale di trasporto e da imballaggio.
In attesa che gli investigatori e la giustizia facciano il loro lavoro, sento con forza il desiderio qui di sottolineare un aspetto che mi è molto caro e su cui più volte sono tornato. La debolezza contrattuale della produzione agricola ha una doppia valenza di cui una diretta, nei confronti del produttore, ed una indiretta collegata all’interesse dei consumatori che dovrebbe essere garantito dall’equilibrio e dalla concorrenza tipiche di un mercato libero. La contrazione sempre più esacerbata dei margini di guadagno dei produttori, ed anche degli operatori dei Mercati, li condanna inevitabilmente ad abbandonare le proprie aziende, privati come sono della capacità di poter investire in competitività e nell’innovazione dei loro processi produttivi. L’UE ha una grande responsabilità e a Bruxelles Italmercati ha fatto sentire, anche per questo comparto imprescindibile in un sano mercato, la sua voce.
Al di là del mio ruolo di Presidente Italmercati, come italiano, mi sono sentito ferito e quasi umiliato. Certamente l’articolo muove da fonti autorevoli la sua accusa e ciò che dice è per molti aspetti vero, ma non si può lasciare che un giornale così prestigioso parli del cibo italiano solo in questi termini senza interrogarci. Il nostro comparto agroalimentare ad esempio è tra i più apprezzabili al mondo, per varietà, tipologie e bontà di un “Made in Italy” che tanti provano ad imitare. L’articolo ha senza dubbio generalizzato e anche semplificato una materia che merita una più attenta ed approfondita analisi, ma purtroppo ha colto un aspetto che noi “operatori” del settore dobbiamo porre al centro della nostra azione. Ha prodotto in me una vera ferita, una ferita che sanguina perché è innegabile che in quanto è stato riportato ci sia del vero.
Se il rischio c’è e quello che dice l’articolo purtroppo è vero, occorre dare spinta a tutte quelle azioni che possono fare la differenza, come sta facendo L’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare al fine di creare consapevolezza e riuscire ad imboccare una strada diversa.
Italmercati lo sta facendo con lo slogan “il cibo italiano non è mafia”. Ha da tempo avviato una riflessione anche in collaborazione con la Fondazione contro le agromafie presieduta dal noto magistrato Gian Carlo Caselli, autore di “C’è del marcio nel piatto”, un libro dalle verità scomode divenuto in breve tempo un best-seller. Il nostro sforzo è volto a fare dei Mercati una barriera contro la penetrazione del malaffare e un presidio di legalità. A febbraio prossimo presenteremo le linee guida di un Codice Etico con l’obiettivo di “normativizzare” una serie di buone pratiche che possano risultare esimenti rispetto a questo genere di contaminazioni. Dobbiamo al contempo facilitare il flusso delle informazioni qualificate. Stiamo lavorando infatti alla redazione di un Accordo univoco con tutte le prefetture italiane su cui sono ubicati i Mercati della Rete.
È un impegno non facile che ci siamo assunti perché crediamo che unire le forze su di uno stesso fronte, quello del contrasto alle agromafie, possa dare una percezione più equilibrata dei Mercati che non sono solo piazze di criminalità ma anche luoghi di incontro, di contrattazione, di buona fede e di correttezza commerciale e contrattuale.
Auspichiamo che del nostro cibo se ne parli presto di nuovo su questi autorevoli siti per esaltarne la bontà e la qualità, ma anche il sacrificio e la dedizione di chi lo produce, che sono i noti tratti distintivi del Made in Italy.